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SCUOLA CALCIO DURINI PESCARA 1989

 

Il progetto della scuola calcio Durini parte da un presupposto ben studiato e già definito ed è in perfetta sintonia con ciò che chiedono le federazioni FIGC e UEFA a livello di settore giovanile.

Il calcio, se vissuto ed agito secondo gli schemi del bambino, è un gioco altamente educativo e un valido mezzo di formazione; esso inteso come momento ludico-educativo va oltre l’insegnamento del gesto tecnico, degli schemi tattici e dell’allenamento muscolare.

Il calcio va insegnato giocando, in un clima psicologico gratificante e stimolante in cui l’adulto diventa modello comportamentale da seguire. In particolare, il gioco del calcio racchiude in sé elementi quali: la socializzazione, la comunicazione, il coinvolgimento emotivo, l’applicazione della componente intellettivo - cognitiva, la componente motoria che permette un sempre maggiore controllo del movimento. L’apprendimento di un gesto tecnico o di un movimento infatti segue diverse fasi che passano dalla comprensione del movimento, alla rappresentazione mentale per finire all’attuazione globale con relativa analisi. L’insegnamento del gesto tecnico, che va acquisito secondo oculate progressioni didattiche, è un importante strumento educativo su più versanti:

Saper comunicare è un valore molto importante perché in primo luogo favorisce l’aggregazione e la socializzazione, ma serve pure, e specie in un contesto di gioco, all’organizzazione ed alla collaborazione di individui che insieme devono raggiungere degli obiettivi. Nel gioco del calcio troviamo tutti i tipi di comunicazione, verbale, gestuale ed ottico .

La Scuola Calcio Durini ha strutturato la propria attività orientandosi a una formazione non fondata soltanto sullo sviluppo tecnico tattico e fisico, ma ricercando attraverso l’ esperienza sportiva una completa formazione umana: dal rispetto delle regole, all’ impegno costante nell’ allenamento, alla collaborazione e alla condivisione di momenti di difficoltà. L’ attività di formazione calcistica segue l’itinerario scolastico e si conclude nell’ anno in cui i ragazzi passano dalla categoria Esordienti (10/12 anni) a quella dei Giovanissimi (13/14 anni).

 

Categoria Piccoli Amici - 6/8 anni

L’attività didattica svolta in questa fascia d’età è orientata a sviluppare le varie modalità di movimento utilizzando uno strumento affascinante e magico rappresentato dal pallone: a questa età i bambini mostrano interessi molteplici e la loro fantasia viene catturata da questo attrezzo, attraverso il quale i “piccoli amici“ iniziano a conoscersi e ad esplorare l’ambiente circostante. Questo processo di socializzazione, che va di pari passo con la scolarizzazione, favorisce il miglioramento della conoscenza dell’altro; nell’allievo permane, comunque, una spiccata spinta egocentrica che, verso il termine del biennio, andrà lentamente attenuandosi a favore di una maggiore apertura al dialogo, all’accettazione dell’altro e alla collaborazione reciproca. Le attività proposte, caratterizzate dal gioco, sono infatti correlate alle esigenze peculiari e caratteristiche dell’età. Un contributo importante è richiesto ai genitori che avranno un ruolo attivo anche all’interno dello spogliatoio. La soglia di attenzione in questa età è di circa 25/30 minuti sarà compito del proprio istruttore sfruttare la prima parte dell’allenamento con esercitazioni ludico-motorie dedicate, dando nella seconda parte dell’allenamento ampio spazio alla partita.

 

Categoria Pulcini - 8/10 anni

I tre anni della categoria Pulcini sono considerati gli anni d’oro della motricità e degli apprendimenti; infatti, rappresentano il periodo dove il bambino diventa “padrone” del proprio corpo e delle proprie capacità, definirà il proprio schema corporeo, svilupperà il suo senso di autonomia, di libertà e di espressione e rispetto delle regole e, soprattutto, degli altri. Nella sfera sociale svilupperà, infatti, il concetto di interazione con gli altri che utilizzerà in campo sotto forma di “collaborazione”. Passerà dall’egocentrismo (caratteristico dell’ età precedente), al decentramento e riconoscimento degli altri (caratteristico dei primi anni Pulcini) fino all’interazione e autonomia (caratteristico della fine del triennio). Arricchire, consolidare e perfezionare il proprio bagaglio di esperienze motorie sarà l’obiettivo principale in ambito didattico.

1° anno: Ampliamento - 2° anno: Controllo - 3° anno: Stabilizzazione delle abilità

In ambito tecnico svilupperà e consoliderà tutte le gestualità tecniche dei fondamentali e soprattutto in ambito tattico riuscirà in maniera sempre più efficace a riconoscere le varie situazioni di gioco sia di attacco che di difesa. Determinante è sempre l’utilizzo della palla come strumento didattico, che ora il bambino padroneggia con efficacia e che diventa il mezzo principale per sviluppare quella fantasia e quella creatività che le sue conoscenze appropriate permetteranno.

 

Categoria Esordienti – 11/12 anni

Nella categoria Esordienti si verifica un passaggio importantissimo verso la definizione vera e propria di una attività che è riferita al modello di gioco 9 contro 9. L’attività 7 contro 7 sia in allenamento che in situazione di gara rappresenta sempre il mezzo per acquisire quei comportamenti tecnico-tattici trasferibili sul modello standard di competizione 11 contro 11. Si tratta di un importante tappa pre-agonistica che conclude l’attività di base propedeutica a quella agonistica (Giovanissimi) e per questo, soprattutto nell’ultimo anno, sarà motivo di scelte tecniche che preludono ad una differenziazione di valori e qualità “tecniche“. La pratica sportiva del gioco del calcio, inoltre, rappresenta un ulteriore importante fase o tappa di quel lungo cammino verso lo sviluppo della personalità. La componente didattica sarà caratterizzata da contenuti tecnici e tattici sempre più riferiti alla risoluzione di problemi in gara. Si assiste, nel contempo, ad una differenziazione dello sviluppo fisico dei bambini che comporterà un attenzione degli istruttori volta a valorizzare chi già dispone di potenzialità motorie spiccate, favorendone una adeguata crescita tecnica, e volta a favorire, nel contempo, migliori apprendimenti per chi evidenzierà eventuali ritardi. I bambini della categoria Esordienti sperimenteranno e arricchiranno ulteriori informazioni relative alla dislocazione in campo della squadra (nella fase di attacco e di difesa), alle competenze specifiche di ciascun ruolo e alla collaborazione dei reparti di difesa, centrocampo ed attacco per addivenire ad un gioco collettivo che, comunque, non sminuirà, ma esalterà le capacità tecniche e tattiche di ogni singolo giocatore.

 

 

10 motivi per frequentare una Scuola calcio

 1.       Aiuta a prevenire i paramorfismi dell’apparato muscolo-scheletrico

2.       Incrementa e perfeziona le condizioni respiratorie

3.       Migliora le capacità di socializzazione positive

4.       Migliora i parametri cardio-circolatori

5.       Agisce positivamente su disturbi della psiche

6.       Migliora la capacità di coordinare i movimenti

7.       Migliora la resistenza alle malattie infettive (ci si ammala di meno)

8.       Rende più forti e resistenti

9.       Regola le funzioni organiche (sonno, appetito, funzioni intestinali…)

10.   Migliora l’impatto alla sollecitazione articolare. 

I 10 motivi sopra elencati sono i presupposti alla base del nostro lavoro giornaliero. Per garantire che tutte queste “regolesiano rispettate, la nostra Scuola Calcio ha messo insieme un team innovativo che può vantarsi della presenza di figure qualificate in ogni suo settore.

 

 

I 10 “COME” TUTELARE I BAMBINI CHE FREQUENTANO UNA SCUOLA CALCIO

1.       Sottoporli a visita medica

2.       Controllarli almeno una volta all’anno per valutare il loro accrescimento e stato di salute

3.       non utilizzare farmaci senza autorizzazione medica (mai integratori alimentari)

4.       non aver fretta di reintegrarli nella scuola calcio dopo malattie infettive o infortuni gravi

5.       abituarli a fare sempre la doccia al termine delle esercitazioni

6.       pretendere che si asciughino bene dopo la doccia

7.       ricordare loro di non camminare a piedi scalzi negli spogliatoi

8.       abituarli ad usare scarpe da gioco con 13 tacchetti, mai a 6

9.       abituarli ad alimentarsi in modo corretto

10.  insegnare loro a bere, sempre ma moderatamente, acqua durante le esercitazioni e gli incontri.

 

PER TUTTI GENITORI E ……falsi tifosi

 

Ciò che andremo a trattare adesso per fortuna non riguarda la stragrande maggioranza dei genitori della nostra società che ad alta voce e con orgoglio possiamo dire che siete stati in questi anni veramente esemplari ed i vostri ragazzi insieme allo staff tecnico/dirigenziale hanno ricambiato con 16 coppe disciplina.

Comunque una rinfrescatina anche per aiutare i nuovi arrivati non fa mai male.

 

A cominciare dalla categoria dei Pulcini, il bambino di otto anni che proviene dalla categoria Piccoli Amici, si affaccia per la prima volta ad una partita “vera”.

In questo periodo così delicato e particolarmente favorevole all’apprendimento (la cosiddetta “età d’oro”), non ci stancheremo mai di ripetere l’importanza di far giocare TUTTI i bambini a disposizione di ogni singola squadra, proprio perché è un loro diritto partecipare e divertirsi.

All’uopo la Federazione stabilisce che gli incontri debbano comporsi di tre tempi, specificando che tutti gli iscritti alla lista partecipante alla partita stessa debbano giocare almeno un intero tempo dei primi due, con la possibilità di utilizzare il cosiddetto “cambio volante” nella terza frazione di gioco, giocando quindi due terzi della gara.

Lo scendere in campo è elemento estremamente importante per la formazione del bambino, anche quelli meno predisposti per l’attività calcistica. Questi innanzitutto si sentiranno parte integrante della squadra e in qualche modo al pari di tutti i compagni, traendone senza meno un beneficio psicologico che aumenterà sempre più la loro autostima e quindi la loro motivazione. Tutto questo innescherà la voglia di apprendere tutti i gesti e le situazioni legate al gioco del calcio, in quanto il bambino diventa consapevole di quanto appreso e di cosa deve fare per migliorare ulteriormente.

Spesso sulle tribune gli animi si scaldano e a volte volano parolacce, insulti ed offese rivolte soprattutto agli arbitri e, ancora peggio, ai piccoli calciatori che sono in campo.

Protagonista assoluto di questa cattiva abitudine, il pubblico che assiste alle partite di calcio giovanile, che è costituito, quasi sempre dai genitori che sono i primi “tifosi” della squadra dove giocano i propri figli.

Il problema fondamentale è di cultura.

Perché inquinare una sana esibizione di sport, un confronto tra dei bambini, dando un cattivo esempio e una pessima immagine di sé?

Perché invece di sostenere i propri beniamini, incitandoli positivamente, ricorriamo all’offesa degli avversari?

Purtroppo si preferisce sottolineare negativamente le qualità tecniche o fisiche di un bambino invece di incoraggiarne le prestazioni sportive, dimenticandosi il senso del rispetto.

Addirittura si arriva ad offendere anche bambini che giocano nella stessa squadra dei propri figli, perché li si ritiene inferiori, perché “danneggiano la squadra” e si sentono frasi tipo “ecco entra lui, adesso fa almeno un autogol” “quello? Ma quando segna…” “ma che fa il mister? Vuole perdere la partita?” “è uscito mio figlio ed è entrato quello?”

Si creano inoltre anche delle antipatie tra gli stessi familiari dipendenti dal fatto che quello gioca sempre, quello non esce mai…

Questo atteggiamento, inoltre, può indurre il bambino, che tende ad imitare il genitore, all’abitudine di criticare tutti, proiettando sugli altri (compagni, arbitro) il motivo di una sconfitta, senza riconoscere invece le proprie “responsabilità o “errori” scavalcando la cultura dello sport e quindi anche della sconfitta cosa che deve essere insegnata sia dal genitore che dal proprio allenatore.

Dobbiamo cercare tutti, addetti ai lavori e non, di recuperare, quel senso di rispetto e lealtà che e alla base dello sport giovanile e non.

La visione del genitore è nettamente all’opposto di quella del mister: ogni papà (o mamma) vorrebbe che il proprio figlio segnasse gol a valanga e che giocasse sempre e comunque.

Quel che è peggio è che invece di portare al campo il figlio per socializzare, per farlo crescere con gli altri, per farlo divertire o semplicemente per fargli praticare dello sport, lo carica di responsabilità, lo disprezza se non riesce o lo esalta se lo vede fare certe cose, dimenticando che si tratta pur sempre di un bambino. Spesso il proprio figlio è vissuto come un “prolungamento di se stessi” e rappresenta la propria rivincita sulla vita. Si proiettano su di lui desideri insoddisfatti e sogni non realizzati, creandogli false e sbagliate aspettative. Se per esempio questi in mezzo al campo subisce un fallo, si reagisce violentemente contro l’autore perché è come se quel fallo lo avesse subito lo stesso genitore, ovvero la parte di se stesso a cui si tiene di più, quella proiettata sul figlio.

Il genitore così vive tutte le esperienze del proprio figlio (anche per esempio quelle negative come la panchina o l’esclusione dalle convocazioni) come se fosse lui a farle, interpretando le sue sconfitte come se fosse lui il perdente, esaltandosi invece anche eccessivamente se il figlio vince. Questo atteggiamento è captato dal bambino, molto sensibile agli stati d’animo del genitore ed al modo in cui egli si comporta o parla con lui. Quindi se dopo aver perso una partita il piccolo vede il genitore abbattuto, silenzioso e critico, oppure dopo una vittoria lo vede euforico come se avesse portato a casa la Coppa del Mondo, l’idea che si fa è che sia accettato da lui solamente se vincente. Ciò può portare il bambino ad un errato approccio alla partita, affrontando la stessa solo con l’obiettivo di non perdere, per evitare la delusione e l’insoddisfazione del proprio genitore.

Dobbiamo frenare e fare un passo indietro, non dobbiamo mai far sentire dei “fenomeni” i bambini che fanno cinquine di gol a partita, così come non dobbiamo mai far sentire “brocco”chi è meno dotato o predisposto per il gioco del calcio. Il genitore, “attaccato alla rete”, che si intrufola nello spogliatoio con una scusa banale, che segue passo passo il proprio figlio, che urla quello che deve o non deve fare in campo e che magari poi a casa gli fa “ripetizioni calcistiche” vorrebbe solo un protagonista in campo: il proprio bambino. E allora mentre l’allenatore lavora per insegnargli a passare la palla ai compagni, lui si giustifica così: “ha detto mio padre che devo andare da solo dritto in porta…” “ha detto mio padre che devo giocare attaccante” “ha detto mia madre che i rigori li devo tirare io”…

Invece bisognerebbe astenersi dal suggerire ai propri figli i propri punti di vista, di esprimere giudizi sui compagni di gioco, di interferire nelle scelte tecniche, di esprimere giudizi sul nostro operato, anche perché gli istruttori cercano di sviluppare le potenzialità del bambino, intese non solo come capacità tecniche ma anche, come capacità di socializzazione in un gruppo.Bisogna rendersi conto che l’istruttore rappresenta per il proprio figlio una figura di riferimento importante, che il bambino tende ad idealizzare e che le critiche al tecnico possono disorientarlo.

L’istruttore di scuola calcio ha un ruolo ben diverso da quello del tecnico delle squadre che si seguono in televisione, in quanto egli è prima di tutto un educatore. Non ci si può, quindi, limitare a valutare il suo operato esclusivamente dal numero delle vittorie o dalle sconfitte, ma bisogna predisporsi a valutare sotto un’ottica diversa il suo lavoro. Molto spesso, il genitore è concentrato esclusivamente sul risultato (inteso come vittoria, sconfitta, pareggio) mentre non coglie aspetti particolari quali la corretta esecuzione di un gesto fondamentale come, per esempio, effettuare uno stop di petto o colpire la palla di esterno: questi sono i veri risultati.

 

Ricordiamo sempre che l’attività viene svolta da un bambino e non da un adulto; cerchiamo di non decidere per lui, di non rimarcare troppo una partita mal giocata evitando di generargli ansia da prestazione. Incitiamolo sempre a migliorarsi facendogli capire che l’impegno negli allenamenti lo premierà, così come a scuola anche nel calcio per fare bene c’è bisogno di un impegno serio.

Abituiamo il bambino a farsi la doccia, legarsi le scarpe da solo e portare lui stesso la borsa al campo sia all’arrivo che all’uscita (rendendolo pian piano autosufficiente). Non entriamo nelle zone riservate agli atleti, né nello spogliatoio.

Durante le partite cerchiamo di controllarci: un tifo eccessivo è diseducativo per i bambini.

Cerchiamo di ascoltare il bambino e vediamo se quando torna a casa dopo un allenamento od una partita è felice.

Ricordiamoci che sia i compagni che gli avversari sono anche loro dei bambini e che pertanto vanno rispettati quanto lui e mai offesi.

Rispettiamo l’arbitro , molto spesso chi arbitra del settore giovanile è un dirigente o un genitore che cerca di aiutare le società del calcio giovanile.

 

E allora, lasciamoli giocare e divertirsi, perché, a questa età, ne hanno tutto il diritto.

Chi di noi non vorrebbe tornare bambino anche per un solo giorno? Non c’è niente di meglio che pensare solo a giocare e divertirsi, magari correndo dietro ad un pallone.

IL PRESIDENTE